I torni di Valbrutta a Lanzada sfruttavano la forza idraulica del torrente Largone per azionare il tornio artigianale, dove veniva lavorato il ciapùn, il blocco grezzo di pietra ollare. Il laboratorio, piccolo e rustico, aveva muratura a secco, tetto in piòde e pavimento in terra battuta, situato vicino all’acqua per far funzionare il tornio.
Il tornio tradizionale, costruito quasi interamente in legno dall’artigiano, vedeva il ciapùn riscaldato e fissato con resina alla furma, strumento tronco-conico che ne permetteva la rotazione. Da ogni ciapùn si ottenevano da 3 a 8 lavéc, contenitori in pietra ollare di varie dimensioni, il primo chiamato tésta.
Il laveggio veniva completato con cerchi e manici, un tempo in ferro, oggi in rame, spesso realizzati dai magnàn, gli stagnini di Lanzada. Alla fine restava il pignȏ, scarto riutilizzato come scaldaletto, fermaporte o regolatore del tiraggio delle stufe, chiamato l’umin de la pigna, “l’omino della stufa”.